mondo granata

Decameron granata, ecco la raccolta definitiva: un grazie ai nostri lettori

Marco De Rito

 Paolo Pulici al Filadelfia con la sciarpa del Torino Calcio

"“Dai, teniamolo con noi! Come lo chiamiamo?”

"“Pinga! E’ stato uno dei più forti giocatori del toro!”

"“Che pizza con sto toro. Guarda che ciuffo che ha. Chiamiamolo Elvis!”

"“Elvis! Perfetto!”

"Eravamo tutti e tre ignari del nostro destino.

"Io non sapevo che quella ragazza sarebbe diventata mia moglie e la donna della mia vita.

"Lui, il cagnolino trovatello che ci seguiva per le strade del paese, non sapeva che avrebbe condiviso tutta la sua vita al fianco della nostra.

"Lei,Laura, oltre ai punti uno e due, non sapeva che il mio assenso al nome scelto per quel cane era sempre figlio del mio primo amore.

"Elvis, non come il mito col ciuffo, ma come il bomber dell’Arezzo strappato alla concorrenza e portato alla corte di Gianni De Biasi nel primo mercato di riparazione dell’era Cairo. In effetti Pinga era il passato, fallimentare. Abbruscato il futuro, da costruire e sognare.

"Sono passati quasi quindici anni. Elvis ha scelto di raggiungere capitan Valentino, Ferrini e Meroni là dove i campi in erba sono sterminati. Io che sono ancora da questa parte della barricata, né nego né rimpiango la scelta: né di aver offerto una vita migliore a quel quadrupede, né di avergli dato il nome dell’allora nostro bomber! Uno dei tanti, non un fenomeno. Ma uno da toro. Come lo siamo noi tifosi. Uno “niente di che”, che in una partita assurda, come tante di quelle a tinte granata, in un momento disperato ha fatto quel qualcosina che si poteva fare: gol! Il nostro secondo, a fronte dei loro 4! E dire che si era passati in vantaggio con Longo, Raffaele e non Moreno, se non ricordo male!L’allora presidente Mantovano sembrava essere in Paradiso.Noi all’inferno, come spesso ci accade. C’era ancora il ritorno per carità…ma che botta. L’ennesima! Fu allora che mi innamorai sportivamente parlando di Elvis Abbruscato: bomber scarso, e apparentemente inutile. Come me, come te, come ognuno di noi. Ma utilissimo nel aver portato il suo mattoncino da niente in quella partita sciagurata di Mantova proprio quando tutto sembrava perso! Al ritorno, in casa davanti a 60000 spettatori, sul tabellino e nella storia andranno Rosina, Muzzi e Nicola. Lui, Elvis, si sbatterà in campo per 120 minuti senza lasciare il segno. Degli altri tre si ricorderanno tutti, ma io voglio ricordarmi di lui. Perchè grazie a lui, voglio lasciarmi prendere dalle piccole cose, quelle più nascoste e quotidiane. Quelle che sembrano passare inosservate. Quelle a cui tendiamo dare poco valore e relativa importanza. Quelle che però, a conti fatti, fanno la differenza. Come a quel gol dal 4-1 al 4-2. Non ci fosse stato, dovremmo ancora essere qui ad inventarlo. Grazie Elvis. Grazie Toro. Come te, pur essendo “nulla di che”, non c’è nessuno!

"Fabio Fantone

Buongiorno,

so di non essere affatto originale se vi dico che il mio idolo dell’infanzia e anche dell’adolescenza era, ma lo è ancora, Paolino Pulici!

Sono nato nel 1961 quindi Pupi gol me lo ricordo bene, ricordo ancora il mio scontento quando Giagnoni (allora non capivo quanto giustamente) lo tolse di squadra per ridargli una formazione di base che poi lo fece esplodere per quell’asso formidabile che era!

A volte giocavo a pallone da solo nel cortile di casa e lì, sul cemento (!), provavo a fare delle specie di rovesciate per imitarlo.

Quando con Carlo (un grande tifoso granata che purtroppo mi lasciò troppo giovane) giocavamo, in un prato non lontano da casa a “chi segna va in porta”, ci lanciavamo la palla bassa, per consentire all’altro di provare il mitico tuffo del 16 maggio 76.

Un giorno recuperai un pallone in acrobazia e lui mi disse “mi sembri Pulici” …ecco, non mi ricordo un complimento migliore nella mia vita…

Quanti gol spettacolari, quanti gol ai gobbi, quanta grinta, quanta forza e quanta correttezza in campo!

Ho visto quest’uomo parlamentare e placare gli Ultras pronti, sulla pista dell’atletica del Comunale, all’invasione di campo in un drammatico Toro-Milan 0-3 del ’79. Anche questo differenzia il CAMPIONE dal bravo, anche bravissimo, giocatore!

E quando, tanti anni dopo era il 2006, l’anno del centenario) al teatro Carignano, al termine del bellissimo monologo “Cos’era mai questo Toro”, andai a stringergli la mano, dovetti trattenere a stento le lacrime: si, ero tornato bambino, un bambino di 45 anni!

E in questi tempi così difficili e tristi, sapendo che Lui abita in una zona molto a rischio, mi sono preoccupato come se fosse un mio fratello.

So bene che ci sono e ci sono stati e ci saranno calciatori con all’attivo centinaia di gol ma come Puliciclone, NO! NESSUNO.

Non so se pubblicherete questo pezzo, a me ha commosso già lo scriverlo.

Francesco Branca

Sicuramente Valentino Mazzola è stato un punto fermo per il mio inizio e per il mio attaccamento alla maglia granata. Ma è stato un eroe di riflesso, raccontato da mio nonno, da mio papà, da mio padrino.

Il vero idolo , da me vissuto come tale, è Paolino Pulici, Puliciclone , Il gemello del gol col numero 11

Ho il ricordo di quando iniziò a giocare con noi, nel 1967, dopo che l’ Inter lo scartò perchè Herrera lo riteneva buono solo a correre i 100 metri.

Ed in effetti le sue prime apparizioni lasciavano travedere una forza fisica notevole ma che non

riusciva a concretizzare, non esplodeva. Fu Giagnoni che lo capì e lo obbligò ad allenamenti micidiali per “trovare” la porta.

E Pulici fu. Gol a raffica, mai una polemica (e di calcioni ne prendeva), mai una parola fuori dalle righe. Nei suoi occhi ancora oggi , si percepisce il granata, nella sua essenza.

Ancora oggi ci racconta che il grande Ussello gli aveva inculcato nella testa che da lassù gli invincibili osservavano cosa combinavano i torelli.

E lui si è sempre adeguato ed è sicuramente riuscito a far sorridere tante volte Valentino.

Ricordo che il grande Mazzone, che avrei visto benissimo nella nostra panchina, si inchinò e gli strinse la mano dopo un Torino Fiorentina dove Paolino aveva letteralmente fatto impazzire la sua difesa.

Quando passò all’ Udinese nell’82 , mi sarebbe piaciuto conoscere la sua reazione ad indossare una divisa bianconera ,sia pur di una compagine diversa dalla gôba che era il suo bersaglio predefinito.

Grande Paolino, hai fatto sognare una generazione ed ancora oggi mi commuovo quando ti vedo parlare col tuo tono pacato e granata.

Riccardo Bussone

La figurina a colori se ne sta in una pagina aperta per caso. E’ una domenica di marzo del 2020, è l’ultima del mese e la prima con l’ora legale. Il sole è pallido e il pallone non rotola. La figurina se ne sta in un piccolo riquadro quasi sospeso tra quello di Francesco (detto Ciccio) Graziani e quello di Romano Cazzaniga, il gemello del gol nato a Subiaco che vinse i Mondiali in Spagna mentre lui stava al mare in Sardegna (Enzo Bearzot, il Vecio cuore granata, al Mundial s’era portato Franco Selvaggi, granata da quell’estate, come ventiduesimo) e l’eterno dodicesimo perché tra i pali c’era il “giaguaro” – al secolo Luciano Castellini – e contro un giaguaro la corsa, si sa, è persa già in partenza.

Se ne sta come sospesa in una paginetta ingiallita ma è memoria, è l’anno ‘75/76 delle figurine Panini. L’album del calcio – raccoglitore un tempo immaginifico e in questo tempo così sbiadito – di un pallone adesso sempre più sgonfio, smarrito, sbilenco. Fermo, mentre finge di capire decurtandosi gli stipendi corre sottobanco a chiedere 700 milioni di euro come aiuto di Stato.

Tra Graziani e Cazzaniga, tra il centravanti e il secondo portiere, se ne sta invece la figurina di Paolo Pulici detto Paolino e soprattutto “Puliciclone”, che fu Gianni Brera a chiamarlo così e quindi per gli scolari di allora l’undici del Toro non era Paolo e non era Paolino, non era Pulici e non erano virgolette. Era solo Puliciclone, perché al maestro si obbedisce.

La figurina che una mano tremante e sognante ha incollato 44 anni fa, se ne sta adesso come più grande, tra quella di due compagni e lui al centro e Claudio Sala un po’ più in là, come se il “poeta del gol” facesse ancora l’ala destra tra dribbling, pennellate e cross al centro.

E come fosse ancora al centro di un’area di rigore in attesa di un traversone troppo lungo e troppo scomodo per andare a raccoglierlo, se ne sta invece Paolino Pulici, nato a Roncello (provincia di Milano) il 27 aprile del ’50, lui che su quel pallone ci arrivava sempre. Staffilate e incornate, così forti che restano ancora dentro la memoria. 172 gol con la maglia del Torino, 437 partite dal ’67 all’82 tra campionato e coppe, goleador granata di tutti i tempi, 21 reti e il titolo di capocannoniere (come nel ’73 e nel ’75) nell’anno dello scudetto (era il Torino di Radice, del primo calcio totale in Italia, del calcio all’olandese che Sacchi e il Milan e gli olandesi sarebbero arrivati anni dopo), il primo e l’ultimo (1976) granata dopo la tragedia di Superga e 16 gol l’anno dopo non bastarono per il bis perché la Juventus di Trapattoni e Bettega il tricolore se lo cucì per un misero punto alla fine di un testa a testa memorabile.

Numeri da bomber, eppure non ne raccontano la dimensione, un po’ come i numeri di adesso che tanti copiano e incollano come se fossero loro i contagiati da un virus, tutti presi da statistiche, previsioni e modelli matematici da offrire e forse per molti Teorema è solo il titolo di una canzone (1981) di Marco Ferradini, canzone che avrebbe a suo modo fatto la storia degli innamorati ripudiati. Come il mondo del calcio ha forse ripudiato e dimenticato troppo presto Paolino detto Puliciclone, quello che segnava di destro e di sinistro, veloce e potente assieme, implacabile dal dischetto, devastante nel gioco aereo. Gol indimenticabili, come quel pallonetto da 35 metri a Dino Zoff in un derby contro la Juve ed il tuffo a incornare nella porta di Boranga il 16 maggio del 1976, la domenica dello scudetto al Comunale contro un’altra bianconera, il Cesena. Solo 5 gol in nazionale e solo 19 presenze, e l’incredibile primato di aver partecipato a due Mondiali (’74 e ’78) senza aver mai messo il piede in campo. Pochi gol (8) quando lasciò il Torino: era l’estate dell’82 e Pianelli aveva appena ceduto il club. Arrivò un giovane diesse – si chiamava Luciano Moggi – a dargli il benservito. Andò all’Udinese e giocò al fianco di Zico, e quando tornò al Comunale i tifosi del Toro presero a fischiare un proprio giocatore – Danova – ogni volta che andava a contrastarlo perché avrebbero voluto vedere un altro gol di Puliciclone. Che chiuse la carriera alla Fiorentina ripensando alla prima volta in serie A, lui che arrivava dal Legnano.

Anche quella volta era di domenica e anche quella volta era marzo. Non c’era ancora l’ora legale ma sul prato, da avversario, c’era il suo idolo. Era il 23 marzo del 1967 e al Comunale si giocava Torino-Cagliari. Finì 0-0 nonostante da una parte ci fosse Pulici e dall’altra parte un certo Gigi Riva, quello a cui Gianni Brera – il maestro – aveva messo il soprannome “Rombo di tuono”, cresciuto pure lui al Legnano e diventato leggenda in azzurro e al Cagliari. Riva che quella domenica, quando lo vide tremante all’esordio, gli diede una pacca sulle spalle e una spinta, lui che a 15 anni faceva 10” e 5 sui cento metri, lui troppo veloce – raccontò un giorno – tanto da essere scartato dall’Inter dopo un provino perché “è troppo veloce per giocare al calcio, meglio si dia all’atletica”, dissero così Invernizzi e Herrera al papà. “Coraggio, chi arriva dal Legnano è sempre speciale”. Da quella frase di Riva sono passati 53 anni e sei giorni. Dal ’90 i giorni di Paolino Pulici invece sono tra quattro chilometri, da Roncello dov’è nato a Trezzo, dove allena (gratis) i pulcini dai 6 agli 8 anni. Che adesso incollano altre figurine mentre la sua si riaccende in una pagina aperta per caso.

Nell’ultima domenica di marzo del 2020, l’ultima del mese e la prima con l’ora legale. Il sole è quasi scomparso e il pallone continua a non rotolare. Anche Pulici e la sua figurina se ne stanno sospesi, in attesa di un calcio che trovi il tempo, il modo e l’ora di ricominciare. Davvero.

P. S. Scrivo solo perché qualcosa dovrò pur fare

Michele Spiezia

"Probabilmente sarò un pò “fuori tema” ma da bambino del primo dopoguerra  le occasioni di vedere all’opera  “dal vivo” i propri idoli non erano molto frequenti. Sposto quindi il mio ricordo alla Stagione 1959\60 (la prima in B) dove da abbonato (per la prima volta) ho seguito tutte le partite giocate al Fila il ns. “Teatro dei sogni” un Craven Cottage replicato a Torino. In quella stagione il mio primo idolo è stato Beppe Virgili alias “Pecos Bill” un pistolero “razza Piave”che con le sue reti  contribuì alla ns. galoppata   in A. Pareva al tramonto quando arrivò dalla Fiore ed invece… Qualche anno dopo ebbi modo di apprezzare Gerry Archibald  Hitchens centravanti gallese di stampo “old british”possente uomo d’area con piedi non propriamente educati che suppliva con l’impegno ai suoi limiti tecnici. A quei tempi dopo gli allenamenti i giocatori uscivano alla spicciolata e spesso si fermavano a parlare con noi tifosi firmando autografi.Perchè è stato un mio idolo? Di questo ragazzone con spalle larghe da ex minatore gallese conservo uno splendido ricordo per il  suo tipico atteggiamento alla mano di chi  viene “dalla gavetta”e la sua umanità. Gerry è stato il “mio campione”più come uomo che da pur ottimo calciatore.”Uomo vero”semplice e schietto.

GC Natali

Domenica 11 giugno 2006 Toro – Mantova, ritorno della finale play-off di serie B.

Ricoverato all’ospedale Martini di Torino per una devastante operazione alla laringe per carcinoma maligno, che mi avrebbe per sempre impedito di urlare la mia fede Granata.

Nonostante l’ansia e le preoccupazioni per il delicato intervento chirurgico a cui sarei stato sottoposto il giorno dopo, avevo cercato di avere notizie della partita in corso al Comunale dopo la sconfitta per 4 a 2 subita all’andata.

Nessuna radiolina disponibile nè tantomeno un televisore.

Ho aspettato con ansia il termine della partita per capire magari dai canti di gioia dei tifosi se il Toro era riuscito a farcela, ma a due ore abbondanti dall’inizio della partita non si sentiva alcun rumore.

Non ce l’abbiamo fatta, ho pensato, ed ho cercato di addormentarmi.

Dopo una mezz’ora circa, mentre mi rigiravo nel letto, ho sentito, dapprima lontani e confusi, ma poi vicini e forti i cori di gioia dei tifosi granata che mi facevano capire che il TORO era ritornato in serie A.

il giorno dopo ho affrontato serenamente la prova che mi toccava.

Torino-Mantiva 3-1, 11giugno 2006.

Il tabellino:

TORINO (4-4-2): Taibi; Nicola, Doudou, Brevi, Balestri; Lazetic (8′ pts Melara), Gallo, Longo (35′ st Edusei), Rosina; Muzzi (20′ st Fantini), Abbruscato. Panchina: Fontana, Fantini, Edusei, Vryzas, Stellone, Ferrarese. Allenatore: De Biasi

Marcatori: 36′ pt Rosina ( rig.), 18′ st Muzzi, 5′ pts Nicola, 10′ pts Poggi (rig.)

Forza Vecchio Cuore Granata

Mariolino Zimaglia

Chi era il mio idolo dell’infanzia?

Si chiamava Giorgio, veniva da Trieste ed era il mio Super Eroe.

Si sa come sono i Triestini (vi ricordate di Nereo Rocco?) gente aperta e disposta ad ascoltarti ma gente temprata dalla Bora. Vento freddo, forte ed impetuoso. Giorgio era figlio di quel vento….

Si era Giorgio Ferrini, il capitano dei capitani con un record irraggiungibile di 566 presenze con la maglia granata! I soprannomi si sprecavano: diga, roccia, ma per me era “faccia d’angelo”. Anche se poi in campo tanto angelo non lo era.

Il suo ruolo era centrocampista che sapeva dosare qualità e quantità , ora di giocatori così non se ne vedono più. L’unico che me lo ricorda vagamente è Kamil Glik, guarda caso anche lui capitano. Insomma Giorgio era un giocatore di temperamento. Non era uno che buttava a terra l’avversario arrivando da dietro. No lui lo faceva faccia a faccia pagandone le conseguenze. Me lo rivedo in un derby inseguire uno spaventatissimo Sivori che fuggiva terrorizzato. Quando c’era da menare non si tirava indietro, come nel mondiale in Cile del 1962 dove i cileni ci tesero l’agguato e noi ci cascammo. Giorgio, a causa del suo temperamento, venne espulso e ci rimise, per qualche anno, il posto in nazionale.Ma nel 1968 si rifece perché vincemmo gli europei. Giorgio, con gli altri giocatori di quella nazionale, venne insignito con il titolo di Cavaliare d’Italia!

Quando penso a lui mi rammarico di due cose: la prima è che lui non volle giocare la partita dello scudetto contro il Cesena, nonostante che Radice lo avesse invitato, perché si era ritirato a inizio stagione. La seconda è che mi sarebbe piaciuto che lo stadio comunale portasse il suo nome, per tutti quegli anni che aveva indossato la maglia Granata.

Giorgio è mancato l’8 novembre 1976 a causa di una emorragia celebrale. Gli eroi non muoiono mai per cause naturali. Da allora per me Giorgio e il Toro vivono in simbiosi.

Grande Giorgio. Grande e irripetibile. Ciao e grazie!

Granata per sempre!

Bruno Giorsa.

Il 10/12/2016 andai a Torino con i miei nonni, mio fratello avedere il derby.

Il primo giorno andammo a vedere il Filadelfia dove si stavano ultimando le costruzioni.

Fu la prima volta che mi recai e il posto era speciale.

Fu come ripercorrere tutta la storia storia del Torino in un’istante.

La sera, una volta che arrivammo in albergo, parlammo fino alle 3 di come sarebbe stato il derby.

Finalmente arrivò il giorno che aspettavo.

La mattina io mio fratello e io nonno andammo a prendere il giornale è ci fu una scena molto simpatica dove mio nonno fermava tutti quelli che arrivavano al giornalaio e voleva che urlassero Forza Toro. Arrivò un signore juventino e fece una scommessa con mio nonno: chi era più anziano di due doveva dire inneggiare alla compagine avversaria. La vinse mio nonno e il bianconero fu costretto a urlare: “Forza Toro”.

Dopo arrivò il momento di andare allo stadio.

Ogni volta che si arriva al piazzale per me è sempre una gioia.

Non vivendo all’ombra della Mole, per me vedere così tante gente che tifa Toro è impossibile.

Perciò ogni volta che mi reco al Grande Torino è un emozionino indescrivibile.

Entrai allo stadio e mi salirono i brividi.

Il momento più bello è sempre la lettura della formazione e tutto lo stadio che canta l’inno.

La partita iniziò e il Torino non stava giocando male

Al 16’ il Gallo segna. Lo stadio si trasforma in una bolgia.

Su sei derby che sono andato a vedere quella è che il Toro segnò.

Però come in tutte e sei le stracittadine, anche in quel caso i granata persero per 1-3.

Finita la gara, delusi per il risultato, ma contenti per l’esperienza passata, assieme siamo tornati a casa.

Riccardo De Rito

Ho 28 anni ,

in famiglia papà del Toro e mamma Juventina.

siamo nel 1997 ho cinque anni e non sapevo ancora bene per chi tifare.

Mio padre disse “ ti porto a vedere una partita della Juve e una del Toro

poi deciderai tu”

Ottobre ‘97 andiamo a vedere Juve – Fiorentina 2-1

La Juve aveva vinto lo scudetto la stagione precedente 96/97

Stadio pieno grande entusiasmo e nella Juve giocano Zidane,Del Piero,Inzaghi e Conte.

La settimana dopo andiamo a vedere Toro-Venezia.

Il Toro è in serie B da due anni.

Stadio semi vuoto MA LA MARATONA è PIENA

prendiamo 4 gol dal Venezia in quel momento nettamente

più forte. In quel Toro però giocano ASTA,FERRANTE, LENTINI e BRAMBILLA.

Perdono ma lottano come leoni.

All’uscita dallo stadio guardo mio padre e gli dico “ PAPA’ IO VOGLIO ESSERE DEL TORO”.

il DNA prevalente aveva fatto il suo lavoro.

Gualtiero Sabelli da Cumiana.

Nell’estate del 2008 arriva a Torino l’ex Manchester City e Lazio, Rolando Bianchi. Quando arriva al Toro avevo solo 7 anni ma ero già grande appassionato di calcio e soprattutto del Toro, infatti arriva nella prima stagione di cui ancora adesso mi ricordo perfettamente, anche se non sicuramente una delle migliori.

Mi ricordo ancora di aver visto dalla curva Primavera il suo primo gol, proprio il giorno del suo debutto, in quel Torino-Lecce che un po’ ci illuse di poter fare una grande stagione. Un tap-in facile facile che fissò la partita sul 3-0 e lo fece proprio davanti ai miei occhi. Da subito ho visto in lui un idolo, non un semplice centravanti, ma uno di quelli che mette il cuore e la grinta su ogni pallone.

È rimasto nonostante la retrocessione in Serie B, sancita da quella tremenda partita all’Olimpico contro il Genoa finita 3-2 in cui Rolly segnò un gol bellissimo di pallonetto.

L’anno dopo in cadetteria diventa capitano e finisce la stagione con 24 gol, nonostante la sconfitta nella finale playoff con il Brescia e quindi un’altra stagione non nella massima serie.

È rimasto sempre nei momenti più difficili per il Toro e ha rappresentato il simbolo di un Toro che non molla mai, fino alla promozione in Serie A con Ventura. Finalmente dopo tre anni nella serie inferiore il ritorno in A. Mi ricordo ancora il gol contro l’Atalanta a Bergamo con cui raggiunse quota 70 gol con la maglia granata raggiungendo Loik nella classifica all-time, esultando con il gesto 7.

E infine l’ultimo ricordo a fine stagione della sua ultima partita contro il Catania, dove entra e segna il suo ultimo gol con la nostra maglia e poi il giro di campo, dove ammetto qualche lacrima scese. Era l’eroe granata della mia infanzia che se ne andava, quello che con ogni esultanza trasmetteva grinta! Grazie di tutto Rolando, Torino ti amerà sempre.

Tommaso

Estate 2011, in arrivo tra gli innesti Granata un gigante Polacco già conosciuto dai più appassionati di calcio Italiano per ciò che in passato aveva fatto in cadetteria tra le fila del Bari.

Se stai leggendo questa storia molto probabilmente avrai già capito di chi sto parlando, ma in caso contrario il nome del gigante in questione è Kamil Glik.

Che emozione le sue poderose chiusure difensive da ultimo uomo, i suoi diverbi con gli avversari e i suoi interventi a volte al limite… Ma noi Granata sappiamo che tutto ciò avveniva perché lui si che sa cosa vuol dire indossare quei colori, un mix di emozioni: grinta, rivalsa, determinazione ma soprattutto passione.

Quella passione è il motivo per cui sei rimasto nel cuore di tutti noi veri tifosi Granata, ne approfitto dunque per ringraziarti Kamil, grazie per aver onorato la nostra seconda pelle, per aver difeso i nostri colori e perché hai sempre dato il 100% in campo.

Ah dimenticavo!! Per coloro che amano la statistica, nelle 171 partite da calciatore del Toro e difensore centrale ha siglato 13 reti, rendendo il suo poderoso stacco aereo una delle doti più temute dai difensori avversari, fino agli emozionanti saluti del 2016.

P.S. spero che quei saluti siano in realtà un arrivederci, ma in ogni caso grazie di tutto “gigante buono”!!

VITTORIO

Renzo lo studente circumnavigava il tavolo a passi cadenzati (chè quello era il suo sistema, faticoso, di apprendimento), tentando di trovare nella propria mente altro spazio per le ultime nozioni mediche. Era, quella, la stanza buona del trilocale, trasformata per necessità in luogo di studio e di riposo grazie all’aggiunta scarsamente sintonica, nell’angolo accanto alla porta, del letto ribaltabile e di una piccola scrivania davanti alla finestra.

Sotto di essa il traffico di corso Peschiera proseguiva ininterrotto, ignaro dell’imminente, pesantissimo esame di anatomia patologica, in programma di lì a sette giorni.

Un rumore familiare interruppe il meccanismo mnemonico; papà stava indossando giacca e cappotto, da sempre una cosa unica per lui, sfilati all’unisono, manica dentro manica, ed allo stesso modo calzati, tra i rimproveri della mamma preoccupata, giustamente, della maggior usura di quegli indumenti unici nel guardaroba dell’epoca.

Renzo si stupì; le venti era ora insolita per l’uscita verso il biliardo serale, e il vigile urbano Giovanni, sempre in giro per la città sulla sua moto di servizio, non era tipo da passeggiata del dopocena.

“Vado a vedere la gi**e !! sentì il bisogno di subito giustificarsi.

La gi**e, l’odiata gobba, la spocchiosa squadra degli Agnelli e delle discussione infinite, giù alla pompa di benzina sotto casa, con gli amici della fontanella (“turet”, a Torino, con l’acqua quella buona “direttamente dal Pian della Mussa”) !, la “madama” quella sera contro il Borussia, squadra dei Netzer dei Vogts e degli Einkens, dominatrice in Europa da qualche anno.

Sconcerto e preoccupazione sul volto del figlio, immediato e un po’ gratuito il chiarimento del padre: “ ….s’ti tedeschi, s’ti bastard! Due anni di campo di concentramento, solo rape nello stomaco, e dissenteria, e paura e freddo, e le pelli di patata rubate alla discarica dietro la baracca e arrostite contro la stufa, quaranta chili pesavo….”.

Tutte cose che Renzo sapeva, le uniche narrate al proposito dal genitore, omettendo altri particolari, solo intuiti da qualche discorso con suoi coetanei, dopo il caffè in cucina. Racconti rapidi, quasi dolorosi di guerra in Albania e Grecia, del rispetto e della solidarietà che possono meritarsi anche gli invasori, talvolta, e della prigionia, e di una signora polacca che lo aiutò, per pietà o per amore…chissà.

E così il civich scese le scale, con passo ancora agile, e lo studente riprese il proprio faticoso itinerario circolare intorno al tavolone, perché c’era da finire la cirrosi epatica, prima di regalare una pausa alla mente ed alle gambe….

Ore 23. Il cigolio del portoncino del piccolo condominio d’angolo, otto famiglie come se fossero una, poi lo scalpiccio ed i ritmici, inesorabili colpi secchi di tosse, da fumatore di quelli che accendono la sigaretta con le ceneri del mozzicone di quella prima.

Il ragazzo si affacciò, in attesa che la chioma brizzolata del genitore facesse la sua apparizione, due rampe più sotto.   Eccolo, pareva stanco, o forse solo rilassato. Alzò lo sguardo dal basso e si arrestò, quasi in attesa di una frase, o una domanda.

Poi, lentamente, lui che aveva nella bontà e nell’educazione la sua caratteristica dominante (a parte qualche colorita bestemmia in pochi momenti drammatici, ma in sordina, quasi chiedendone subito scusa), sollevò il braccio sinistro davanti a sé, compì con il destro un lento movimento circolare, ed appoggiò con convinzione la mano sull’altro gomito: “Tiè….la gobba, due a due….nel culo !”

Poi abbassando la voce: “BA-STAR-DI…!!, scandendo le sillabe, come in una sentenza.

Da alcuni anni, papà Giovanni, il civich, riposa tra le sue vigne, nel piccolo cimitero di Montaldo Scarampi. Se n’è andato alla vigilia della finale di coppa Uefa contro l’Ajax, giusto per patire un po’ di più (o forse un po’ meno, chissà), da vero tifoso del Toro.   E lo penso sereno, perché accanto a sé, a portata della mano, affinchè la possa ancora impugnare, ha la stecca da biliardo, quella divisibile, da gara, ed a sinistra, dalla parte del cuore, il suo fazzoletto scarlatto, con gli scudetti e il Torello giallo, che lo aiutino a rimanere uno di noi, per sempre.

Renzo Caracciolo

Ci è pervenuta, tramite una mail che ci è stata scritta dalla madre, una lettera di Migliore Francesco. Il compito assegnato a scuola a Francesco era quello di scrivere una lettera a un personaggio famoso e lui l’ha voluta indirizzare ad Andrea Belotti. Di seguito lo scritto di Francesco:

Villastellone 1/04/2020

Ciao Andrea Belotti, molti mesi fa ho avuto la possibilità di poterti incontrare al Filadelfia dopo un allenamento , della squadra.

E stato molto emozionante poterti vedere da vicino, e poter avere un tuo autografo….che felicità..

Posso ringraziare molto mio papà per la passione che ha sempre avuto negli anni a partire dalla sua infanzia per la squadra dei granata., con sofferenze e gioie , con rabbia ed emozioni ed averla trasmessa a ME insegnandomi a capire quanto è importante non essere sempre primi perché nella nostra vita bisogna saper lottare SEMPRE come stiamo facendo tutti in questo momento così difficile.

Tu per me sei il MIGLIOR GIOCATORE ., perché la prima volta che ho potuto vederti allo stadio mi hai fatto provare un emozione IMMENSA , come se mi fosse stata fatta una MAGIA nel mio CUORE , da lì ho capito che tu sarai per ME sempre il MIO giocatore preferito.

Sai quando vado ad allenarmi all’oratorio del mio paesino, io non sono cosi bravo a giocare a calcio come te, ma quando negli allenamenti possiamo indossare un nostro abbigliamento io metto la MAGLIA N°9 comprata alle bancarelle dello Stadio, e da li mi sento un LEONE proprio come sei TU, e quando ci alleniamo a fare i rigori e segno, io esulto proprio come te , finita la partita , quando si va a casa a fare la doccia , mi metto davanti allo specchio a sistemarmi i capelli proprio come li hai tu , che bello sentirmi un po’ Andrea Belotti.

Grazie di poterci dare queste emozioni , di rimanere in questa squadra e di farci sentire dei VERI GRANATA.

Ti vorrei anche chiedere una cosa se fosse possibile: “visto che nella classifica della Serie A siamo al quindicesimo posto, riesci a portare la squadra almeno al sesto posto ?, ne sarei molto felice”.

Un abbraccio Virtuale

Migliore Francesco.

Non so se sia il destino che lo abbia voluto, ma tutto succede in un pomeriggio al mitico fila. Ero con il mio babbo, e venivamo da un paesino che si trova tra Milano e Crema, io piccolino con la mano ben salda nella sua e con una sciarpa al collo bianca e granata più  lunga di me  entrammo e ci accostiamo vicino ad una recinzione che delimitata il prato che sapeva di quelle storie che mi venivano raccontate, dei mitici ed invincibili atleti con le maglie rosso sangue. Ad un certo punto mio padre mi disse: “Vedi quello con i calzettoni abbassati è Emiliano Mondonico, abita vicino a casa nostra ed e un  un tipo un po’ strano ma forte”. Allora io con tutta la mi voce gridai: “Emiliano”,lui si girò e mi sorrise e mi mandò un bacio con la mano, da allora non l’ho più lasciato. Dove andava a giocare mi informava ed anch’io nel mio percorso calcistico (ho fatto le giovanili dell’Inter) lo volevo imitare.

Finché un giorno all età  di 14 anni presi la bici di nascosto  dei mie e dal mio paese  andai a Rivolta per poterlo incontrare. Quando arrivai alla Brusada, dove abitava non lo trovai e per paura dei cani che facevano guardia scappai di fretta e quando arrivai a casa ne presi tante per lo spavento che avevo fatto prendere ai miei. Nel suo percorso divenne allenatore e quando arrivò  al mio Toro divenni la persona più  felice. Lo andai subito a Lodi, dove il Toro giocò un amichevole, e anche lì purtroppo non riuscì a parlargli. Il mio Toro con lui ritrovò quello spirito che solo i grandi ed la squadra del 75/76 ci seppero dare, ero al settimo cielo e quella sedia ad Amsterdam io la alzo ogni volta che il mio Toro vince

Poi purtroppo un giorno il destino vuole che mi ammalai. Si trattava di un cancro, radioterapia e cure varie mi fanno venire due infarti ma il buon Dio dice no. Non è il mio tempo, quando finalmente sembra tutto ok un ictus mi impedisce di deglutire, quindi di alimentarmi ,allora mi portano una macchina  che mi permette con delle sacche nutrizionali di vivere. Vi starete chiedendo cosa centra con Mondonico. Ebbene, qui subentra un miracolo. Una giornalista di Lodi sapendo la mia situazione e sapendo che ero un suo fan, lo chiama e gli spiega la situazione. E lui da grande uomo prese la macchina e venne a casa mia a trovarmi  appena  ci vedemmo ci vennero le lacrime, ci abbracciamo e parlammo per quasi tre ore, ma la cosa più bella e che lui si ricordo di quel bimbo che lo chiamò. Mi portò  l’ultima sua maglia autografata e parlammo della malattia che stavamo combattendo, dicendo che la sua era una bazzecola a confronto. Da quel giorno ci sentivamo spesso addirittura venne all’oratorio del mio paese per la finale del torneo era felice, mi diceva: “Questo è il calcio che amo”. Lui che a Rivolta ha dato un segno di rivalsa ai suoi magnifici ragazzi dell’Approdo.

Ma come tutte le belle cose, per noi del Toro non finiscono mai in bellezza. Un giorno accendo la radio e sento la triste notizia il mio Mondo è volato con gli immortali, con Meroni, con Ferrini ,non ci potevo credere lo avevo sentito la settimana prima e mi aveva detto: “Tra poco ci vediamo e per Pasqua ci facciamo gli auguri”.

Sai Emiliano io per Pasqua gli auguri te li ho fatti, non ho avuto risposta ma ho guardato in alto e ho visto una sedia che si alzava al cielo e una persona  che mi diceva: “Forza, perché  noi del Toro non molliamo mai”.

Un abbraccio a Clara Mondonico e alla sua famiglia

Massimo Pifferi

Ho visto Ferrini giocare al Fila. C’era anche Beatzot Law Backer, Panetti, Scesa, Buzzacchera, Lancioni Crippa… La partita era Torino-Lecco e terminò 2-1 per i granata. Andarono in gol Bearzot e Law per il Toro. Era gennaio 1961 e vidi la partita insieme a mio padre nel vero Filadelfia. Non lo potrò mai dimenticare.

Lettera scritta su Instagram da gengran52

Nella stagione 1975/1976 ho avuto la fortuna di fare il mio primo abbonamento al Torino. Avevo appena 12 anni e ho potuto gustarmi allo stadio il settimo (o ottavo? Vediamo se ci riassegnano quello degli anni Venti) ed ultimo scudetto del Torino. In quella eccezionale squadra giocava in attacco un certo Paolino Pulici, detto “Puliciclone”. Mi innamorai calcisticamente di lui, perché incarnava perfettamente il tremendismo granata. Io bambino amante del pallone rimasi folgorato dal suo modo di stare in campo e di non mollare mai. Resta ancora oggi a distanza di decenni il mio idolo. L’ho apprezzato molto anche come persona, oltre che come giocatore. Purtroppo, vedendo giocare il Torino d’oggi non mi resta che tornare indietro con la memoria alle gesta di Pulici e compagni. Mi spiace per lo sfogo, ma questa stagione mi ha deluso tanto, troppo.

Roberto Cartabbia

Ricordo il triste giorno del funerale di Giorgio Ferrini… pioveva a dirotto ed il mondo passo’ a salutarlo…vidi Rocco Trapattoni, Schenellinger venne dalla Germania in auto. Altri, tanti, troppi passarono dal Filadelfia per fare l’ultimo saluto al capitano. Ricordo anche che Pecci aveva 20 anni e un piede ingessato. Ma il mondo granata non ha dimenticato Ferrini, lo piange ancora. Lo ricorderò sempre, lui in campo era un gladiatore.

Lettere scritta dal profilo Instagram “loli.wood”

26 Marzo 1972. Primo derby con la buonanima di mio padre. Abbiamo vinto 2-1 in rimonta. Al gol di Agroppi il vicino di seggiolino mi strappò da mio padre e mi baciò come, credo, mai aveva baciato sua moglie. Un ricordo incredibile

Lettera scritta dal profilo Instagram “Corradomarialandi”, il tema è il derby indimenticabile che ha tenuto banco negli scorsi appuntamenti del Decameron

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