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CULTO

Le grandi orecchie

Roberto Mozzini (a sinistra) e Francesco Graziani (a destra, negli insoliti panni del portiere) durante la partita di Coppa Campioni tra Torino e B. Monchengladbach (1976)

Torna l'appuntamento con la rubrica "Culto" a cura di Francesco Bugnone

Francesco Bugnone

Nel 1976/77 il Toro per la prima e, sin qui, unica volta inizia il suo cammino in Coppa dei Campioni, quel trofeo che il Grande Torino non aveva fatto in tempo a disputare. I ragazzi di Radice hanno la possibilità di mettere un paio di corna puntute sulla coppa dalle grandi orecchie. Al contrario della Champions League odierna, dove è più facile accedere (il che porta ad aberrazioni come squadre che esultano per un quarto posto quasi quanto per uno scudetto), ma più complesso andare avanti a causa del gran numero di squadre, ai tempi è molto più complesso partecipare, dovendo vincere il campionato, ma, con il sorteggio giusto, essendoci meno gare, potrebbe non essere impossibile andare avanti. Appunto, il sorteggio giusto. Non proprio quello che capita ai granata quando dall’urna esce il Malmoe.

In qualsiasi altro momento della stagione non sarebbe un sorteggio particolarmente preoccupante visto che il Toro è parecchio più forte degli svedesi, ma siamo a settembre e gli scandinavi sono maggiormente avanti nella stagione, quindi con miglior forma. Noi siamo appena all’inizio e il girone di Coppa Italia che stiamo disputando, e all’interno del quale piomberà il doppio confronto, ci vede ancora in rodaggio. Sono tutte riflessioni che non spostano di una virgola la gioia con cui, il 15 settembre 1976, i tifosi accorrono al Comunale per vedere il Toro con lo scudetto sul petto debuttare nel trofeo più prestigioso. Dimentichiamo la differenza di preparazione, l’eliminazione al primo turno di Coppa Italia, la pressione e ci buttiamo subito all’attacco. Il Malmoe è ben chiuso e pronto a ripartire, la mette sul fisico, la frenesia a volte ci tradisce, ma andiamo in crescendo e al suo culmine, proprio al 45’, facciamo gol: la schiacciata di testa di Mozzini, su angolo di Pat Sala, è potentissima e il portiere Moeller, pur tuffandosi bene, non riesce a fermarla. Se possibile, il secondo tempo è ancora più a senso unico del primo, ma il raddoppio non vuole arrivare e le mani nei capelli dei nostri dopo occasione fallita sono il leit motiv della ripresa. I centimetri ci sono nemici soprattutto quando Zaccarelli, con una coordinazione splendida come la maggior parte delle sue giocate, calcia al volo un pallone respinto dalla difesa, ma il palo respinge a portiere strabattuto.

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L’1-0 va strettissimo al Toro. Invece del raddoppio, però, all’88’ arriva, atroce, la beffa, quando gli svedesi, di fatto alla prima sortita offensiva della ripresa, segnano con una botta dalla distanza di Harry Jonsson sugli sviluppi di un corner. Lo stramaledetto gol in trasferta che “vale doppio” fa esplodere di rabbia gli uomini di Radice: va bene la sfortuna, va bene l’imprecisione, va bene anche la precipitazione in zona gol, ma a tutto c’è un limite. Proprio al 90’ Graziani punisce un pasticcio difensivo del Malmoe e per quella sera il dio del calcio può andare tranquillamente a stendere. Negli spogliatoi il paradosso è il sorriso degli svedesi e la rabbia dei granata, cosa impensabile se un simile risultato, e in più con queste modalità, accadesse in una gara di campionato, ma la coppa è così e allora aggrappiamoci alle parole di Pulici per sperare: “Questo 2-1 lo faremo bastare, costi quel che costi”.

E costi quel che costi i tifosi del Toro vogliono vedere la partita in trasferta, qualcuno anche senza passaporto (un visto provvisorio risolverà il problema) e dimenticano il vento gelido perché, dopo 3’, c’è un gol che incendia il cuore: Zaccarelli centra basso, il velo di Pulici disorienta la difesa di casa e Pat Sala scaraventa in rete ipotecando la qualificazione. Proprio un fallo dell’autore del vantaggio  provoca il rigore con cui Ljunberg pareggia a sorpresa. Portiamo comunque a casa pelle e qualificazione, giocando per la maggior parte del match con coraggio, senza barricate, in maniera “europea”, tanto da far titolare “Un Torino degno della Coppa dei Campioni” il Corriere della Sera. Italianissime sono le lacrime di commozione di un Pianelli raggiante per la qualificazione. Il Toro accede agli ottavi di finale. Fosse stata la coppa Uefa sarebbe ai sedicesimi, fosse stata la Champions odierna saremmo ancora in pieno girone. Invece siamo “già” qui, ci vuole un pochino di fortuna nel sorteggio e potremmo avere un doppio scontro con vista quarti. Ci sono i finlandesi del Turun, il Trabzonspor, il Paok, il Banik Ostrava, il Ferencvaros. Come detto, basterebbe il sorteggio giusto, ma la pallina che esce dall’urna di Zurigo ci fa gelare il sangue: Borussia Monchengladbach.

Stavolta non è questione di preparazione, come per il Malmoe, ma di ritrovarsi di fronte una delle squadre più forti d’Europa, imbottita di nazionali tedeschi e guidata in attacco da quel Simonsen che, nel 1977, vincerà il pallone d’oro. Girano le scatole, ma non abbiamo paura anche perché il campionato è iniziato in maniera travolgente: 3-1 alla Sampdoria, 3-0 a Bologna con Graziani che segna quattro gol in due partite. Ci sono dei però: Pecci si fa male nel finale del Dall’Ara dopo uno scontro con Rampanti, Claudio Sala non è al meglio, lo stesso Pulici sembra dover ancora ingranare a differenza del “gemello”. Il “però” che addolora di più in quei giorni non c’entra con la partita: il 18 ottobre Giorgio Ferrini ha una seconda emorragia cerebrale dopo quella che lo aveva colpito il 25 agosto.

La Stampa, il giorno della gara, titola “Ferrini resiste”, ma poche settimane dopo si consumerà una delle più grandi tragedie della storia granata, visto che saremo costretti a salutare per sempre il nostro capitano. Mercoledì 20 ottobre Radice schiera Butti col numero otto e, a sorpresa, Garritano al posto di Pupi, dopo aver pensato alle tre punte con Claudio Sala in panchina. Il Poeta è in campo dal 1’, ma non è ancora lui. Giochiamo contro una delle compagini più temibili, ci mancano dei pezzi importanti, ma Maratona e dintorni non sentono ragioni e il Comunale è pieno in ogni ordine di posti, forse un pochino di più. Il primo tempo è un incubo: Butti si sbatte, ma non è Pecci, Claudio Sala si rifà male nello stesso punto che lo aveva costretto ai box nelle settimane precedenti e viene rilevato da Pulici, il centrocampo praticamente non esiste. Dopo un palo di Simonsen è Berti Vogts a sbloccare la situazione: Garritano non lo impegna più di tanto e allora il futuro ct tedesco si sgancia in avanti, triangola con Heynckes e batte Castellini con freddezza.

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Nel secondo tempo, la musica cambia. Si sfiora qualche rissa, anticipo di ciò che vedremo al ritorno, poi al 57’ il forte centrocampista Wimmer deve lasciare il posto a Kilnkhammer e la mediana tedesca cala di tono. Il Toro sente di non avere più niente da perdere e si getta all’assalto, sotto la spinta di un pubblico meraviglioso che Pecci elogerà con un piccolo pezzo su La Stampa del venerdì. Pat Sala si sente bomber europeo e, dopo una mischia in area avversaria, colpisce al volo con forza trovando il pareggio grazie alla deviazione di Wittkamp che spiazza beffardamente Kneib. Il Comunale esplode, persone che da dietro la porta si lanciano in campo, sembravamo finiti e invece il Borussia si ritrova a dover affrontare un Toro infuriato. Pulici sbaglia un gol non difficile, Garritano lo imita fallendo poco dopo a porta vuota, ma il vero punto di svolta capita a un quarto d’ora dalla fine quando Zaccarelli trova l’ennesima perfetta coordinazione della sua carriera con un colpo al volo che sembra dentro, ma incoccia il palo, colpisce il portiere e, incredibilmente, non va in porta. Come contro il Malmoe il palo di Zac prelude al gol avversario, anche se stavolta è ben più doloroso. Per la legge del contrappasso è proprio Klikhammer, il cui ingresso aveva fatto calare i tedeschi in mezzo, a segnare il 2-1, lasciato inspiegabilmente solo sugli sviluppi di una punizione di Bonhof. Un errore imperdonabile e i granata non hanno più la forza di risalire la china. “Vinceremo in Germania” dicono Pianelli e Radice, ma l’impresa appare difficilissima.

Il Toro si carica per il ritorno ripartendo alla grande in campionato: 2-0 alla Roma con reti di Butti e del definitivamente ritrovato Pulici, 1-0 a Firenze targato Graziani in quello che è ancora oggi l’ultimo nostro successo in casa viola in massima serie. A Dusseldorf si va per fare l’impresa e non partiamo nemmeno male, creando un paio di opportunità, poi il palcoscenico lo prende chi non dovrebbe farlo mai, ovvero il direttore di gara. La gara è dura, ma se i falli tedeschi vengono tollerati, i nostri vengono puniti ben oltre la loro reale entità. Qualcuno pensa a un risarcimento dopo la discussa eliminazione tedesca per mano del Real Madrid lo scorso anno, ma noi che c’entriamo e, soprattutto, quand’è che ci risarciscono? Il belga Delcourt, questo il nome, di colui che ci ha rapinato con un arbitraggio scandaloso, entra da quella sera nella lista nera in cui un giorno comparirà anche lo svedese Fredriksson e dove si sono già accomodati tanti fischietti nostrani.

Caporale è il primo a lasciare il campo per doppia ammonizione: se il secondo intervento è da giallo, quello che ha provocato il primo provvedimento non sembra altro che un’energica spallata. Poi tocca a Zaccarelli: primo giallo per proteste subito dopo il rosso al libero granata, secondo assolutamente inventato per un veniale fallo a centrocampo al 68’. La terza espulsione tocca addirittura a Castellini 3’ dopo, per un irruente intervento fuori area, forse l’unico intervento davvero da rosso della serata, ma accaduto a buoi ormai scappati. Otto contro undici, senza portiere. Non è più una partita, ma un’altra cosa e il Toro a quell’altra cosa sa giocare. Quell’altra cosa va oltre tutto e ogni tanto fa capolino nella nostra storia, manda a pallino il risultato del campo e mette soltanto noi contro gli altri e se gli altri sono di più semplicemente non ci interessa. A cambi fatti, Pulici infortunato aveva lasciato il posto a Garritano nell’intervallo, in porta deve andare un giocatore di movimento: toccherebbe a Mozzini, ma deve marcare Heynckes. Allora ci va Ciccio Graziani, bellissimo con quella maglia gialla attorniato dai compagni completamente granata. Sapendo di non poter più perdere la qualificazione, il Borussia attacca per vincere la partita, ma non ci riesce.

Simonsen ha una palla incredibile al limite dell’area piccola, ma Graziani devia in angolo di piede, poi si cimenterà in qualche uscita e bloccherà una conclusione ancora di Simonsen. Il fischio finale di Delcourt ci riporta dall’extra-dimensione in cui eravamo finiti alla terra. 0-0, non passa lo straniero a Dusseldorf, ma, ahimè, lo aveva fatto a Torino e continuerà il viaggio che si fermerà solo in finale davanti al Liverpool. Il Toro si ritrova con mezzo squadra squalificata per il primo impegno internazionale della nuova stagione e, soprattutto, è fuori. Il giorno dopo, mentre l’arbitro e Vogts sciorinano accuse vergognose ai granata, si scopre che, secondo il regolamento Uefa, a differenza di quello nazionale, avremmo potuto inserire Cazzaniga fra i pali al posto di un giocatore di movimento, ma forse è giusto così: stavamo giocando a essere più Toro possibile, un cambio del genere sarebbe stato quasi normale, mentre navigavamo nell’eccezionale. Eccezionale come quegli anni e quell’avventura bramando la coppa dalle grandi orecchie che è durata solo quatto partite, ma di un’intensità pazzesca e indimenticabile.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

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