“Noi promettiamo secondo le nostre speranze”


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L’esodo di Parma
F. de La Rochefoucauld
I sogni sono come una macchina del tempo a sfidare tutte le “stringhe” della fisica quantistica, e ci riportano avanti e indietro pur rimanendo sospesi nello stesso attimo. Tormento ed esaltazione è il calcio, comunque ristoro degli affanni dell’esistenza, e capace di farci cambiare idea nel giro di un minuto, come se ieri e domani fossero solo un espediente per farci contare i giorni. Amiamo la squadra del cuore, ma anch’essa ci ama addolcendoci il cuore, ingegnandosi ad essere ventriloqua del nostro cuore. Basta poco per accendere la fantasia e le attese di un tifoso, e il mare del calcio torna ad appalesarsi come una magnifica ossessione. La notizia è che Paolo Vanoli ha resistito davanti ai continui rimescolamenti di carte al ribasso di Urbano Cairo, e la notizia è anche che i tifosi Granata, dopo Monza, si apprestano a riempire anche il settore ospiti della stadio del Parma. Non è resilienza, è piuttosto la stessa ossessione ad animare il “Capitano Achab” disegnato dalla penna di Herman Melville, il volere essere fedeli ad una storia e ad una maglia nonostante al momento queste siano in mano ad una persona che è una perfetta antitesi del calcio. Di fronte ad un improvviso sbocciare dell’entusiasmo dei tifosi del Toro, Cairo ha ancora una volta l’occasione di realizzare come del calcio e delle sue dinamiche ne capisca davvero poco, e non basta una deludente intervista di Piero Chiambretti per difenderlo. Il presentatore da tempo non pare più essere nel mondo dei vivi; lo ha abiurato, allontanato, scacciato in malo modo, nella volontà di sostituirlo con il mondo dell’ambizione.
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Un mondo, quest’ultimo, che ha dei suoi codici non scritti abbastanza ferrei, tra i quali il più importante è quello di stare attenti a “non disturbare il manovratore”. Non è una critica, sia chiaro, ma solo una desolata costatazione. C’è chi il “Granata” ce l’ha sul serio nel dna, e se lo porta persino sul palco di Sanremo, offrendo l’unica canzone con dentro una idea musicale per rime e per poetica. Willy Peyote veste di “Granata” le sue coriste, e colpisce come in appuntamento apicale professionale voglia dire al mondo che nel gioco dell’andare avanti e indietro, il cuore rimane ancorato sempre sulle cose senza tempo. “Aveva l’aria di uno staccato dal rogo mentre il fuoco gli copre e devasta le carni, ma senza consumarle o rubare nemmeno un briciolo della loro durezza fitta e matura”, Melville così fa irrompere nella narrazione il “Capitano Achab”, ma potrebbe essere anche il ritratto di Paolo Vanoli “torturato” per mesi dalle titubanze da “L’Avaro” di Moliere. L’editore alessandrino da sempre l’idea di essere sedotto dall’esistenzialismo di “Arpagone”, che dice al malcapitato di turno di meritare una ricompensa, e mettendo una mano in tasca ne tira fuori un fazzoletto madido di solennità tesa ad ammansire, più che ad amministrare giustizia: “va, sta sicuro che me ne ricorderò”, assicura. La logica della giusta mercede non trova spazio nell’animo dell’avaro, reso confuso dall’idea quasi ossessiva che sottrarre è sempre meglio che aggiungere. Tutto appare ogni volta superfluo o voluttuario nella gestione degli ultimi vent’anni del Toro, e c’è appagamento solo quando si vende bene; tale sentimento viene addirittura ostentato in modo quasi masochistico, al pari di trovarsi di fronte ad un qualunque “specchio delle mie brame”, con il compito di mentire senza soluzione di continuità. E quando ormai sei vicino ad un vuoto profondo, dove una vertigine ti fa girare la testa a tale punto da non volerti misurare con la sua profondità, ecco che fai tre operazioni di mercato a ribaltare momentaneamente la solita abulia estiva, dove sei uso a vendere per poi dedicarti ai “rattoppi”.
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Vanoli si è sentito tradito più volte ma non ha mai vacillato, dando sempre l’idea di essere grato al destino di essere capitato dalle parti del Toro. Ci sono persone coraggiose poco incline a sbandierarlo, e poi il calcio e anche un lavoro. Stare su una panchina è impressionante allegoria del precario, sei foglia fragile su albero in autunno, sei il “mondo liquido” di Zygmunt Bauman, prima ancora che il grande pensatore polacco lo intuisse come “liquido”. Cesare Casadei, Cristiano Biraghi ed Eljif Elmas sono il premio ricevuto dal destino per non aver perso il senno durante il mare in tempesta, per aver resistito alla tentazione di mettersi nella macchina del tempo per andare avanti e indietro alla ricerca di tempi migliori. Il tecnico Granata da l’idea di aver capito, citando il poeta, che “l’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità”. Non si inventa nulla nel calcio, si applicano semplicemente geometria e poesia, alla ricerca di qualcosa certamente vincente ma che respiri anche ricordo. In un Paese di allenatori e di Presidenti del Consiglio in pectore, il tecnico varesino ha dovuto sopportare per mesi, mentre era assediato dal solito “non fare” del suo Presidente, consigli su cosa dovesse fare o meno per far giocare meglio la squadra, o su chi dovesse mettere o meno in campo. Non sarebbe stato male se, in qualche conferenza stampa, avesse sbottato dicendo: “facciamo così, vieni tu allenare una squadra con Zapata e Schuurs con il crociato rotto, e dovendo mettere sugli esterni Pedersen e Sosa”. Ogni volta occorrerebbe interrogarsi bene sulle aspettative, perché come ha detto recentemente Francesco Totti, ad un Cassano come al solito intento a rompere le balle sull’estetica di Guardiola, che poi Cassano e l’estetica sono tra gli ossimori più riusciti, “gli allenatori sono importanti, ma alla fine in campo ci vanno i giocatori”. Il calcio è “madre natura” come il mare, non lo inventi ma lo scopri mentre ti viene incontro, e Vanoli ti da continuamente l’idea di averlo capito perfettamente. Non può esserci allenatore migliore, capitano migliore, politico migliore, capo migliore. Scoprire e inventare non sono sinonimi, e la differenza la fa il modo in cui le due cose seducono, la prima con l’umiltà, la seconda con l’arroganza. Arrivano due giocatori di talento ed uno di sostanza, Vlasic comincia finalmente a giocare come sa, e la fiammella che cova sempre nel sottocenere della passione Granata, torna ad essere fuoco ardente. Si parla di esodo del tifo nella trasferta parmense di sabato del Toro, eppure non ci si sta giocando praticamente più niente, considerato come la salvezza sia raggiunta e le coppe siano un miraggio troppo lontano per sperarci.
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. E allora perché i tifosi Granata converranno a frotte nella “Città Ducale”? C’è voglia di vedere la “stringa” giusta del tempo senza tempo, l’accertarsi che se si fosse partiti subito con la squadra presente sabato alle ore 15, forse si sarebbe potuto fare un altro campionato, certamente leggermente più ambizioso. Si va sulle gradinate del “Tardini”, per avere conferma come sia possibile anche per il Toro puntare in alto, nella speranza di vedere un futuro diverso dalla “stringa” che va avanti dal 1995. Sono tanti trent’anni senza mettere paura alla Juventus e senza essere all’altezza di una storia, e se si intravede una luce all’orizzonte allora si vuole proprio vedere se ci sono le premesse di partire a caccia di “Moby Dick”. Questo non è una ossessione, ma è un dovere etico/morale e finanche un diritto. Siamo all’inizio, al proseguimento o alla fine del “tutto”? I tifosi Granata sabato pomeriggio saranno tutti concentrati, in presenza o davanti la tv, per vedere gli esatti contorni e potenzialità di una promessa, in modo da presentare un conto se questa verrà mantenuta o disattesa. Abbiamo il “Capitano Achab”, abbiamo la nave, abbiamo il mare da solcare, ora la palla passa all’armatore, chiunque sarà a giugno del 2025. Non si torni indietro da questo entusiasmo, si scelga finalmente di traghettare in un’altra “stringa”, in modo da mettere finalmente nel bagaglio dei brutti ricordi questi ultimi trent’anni di calcio. Canta bene Willy Peyote, quando ci rimanda “ma che storia triste, avevo aspettative basse, si sa già come finisce”, perché questo è stato il tormento di ogni tifoso Granata da quando Mauro Borsano finì la sua parabola contro gli incagli di “Mani Pulite”. Si vada a Parma, quindi, e si veda di che pasta è fatta questa promessa.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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