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Il caso Greta Beccaglia

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Torna "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi: "Lo stadio deve tornare ad essere un’occasione di socializzazione e un momento di fantasia preceduto da un principio di realtà, non un allucinogeno trasformato nel palcoscenico del narcisismo"

Carmelo Pennisi

“E’ patetica l’ostentazione di ciò che non si è”.

Fabrizio Caramagna

 

La verità sul caso di Greta Beccaglia, la giornalista molestata in diretta tv dopo Empoli-Fiorentina, forse risiede in una strofa scritta e cantata da Lucio Dalla nella sua splendida “L’ultima Luna”: “era il cuore di un disgraziato… toccava il culo a una signora, e rideva e toccava, sembrava lui il padrone”. Il “cuore disgraziato”, per un gesto pensato (si fa per dire) e durato qualche secondo, è immediatamente precipitato in un incubo da pubblico ludibrio , visto come, fortunatamente, la vita non può essere accettata come una qualunque commedia toscana sboccata alla Giovanni Veronesi. Nel delirio di commenti seguito al fattaccio si è giunti persino a scomodare il “delitto d’onore”, con l’evidente intento di trasformare “l’Arcadia” (lo stadio) dei tifosi in un arcaico e selvaggio mondo, dove arcani e anarchia regnerebbero sovrani. Allora qui la faccenda si complica, visto come si stia vivendo l’esaltazione del futuro, la critica dello “ieri” e l’ancoraggio culturale all’altro ieri. Niente di nuovo, l’avevano già fatto il fascismo mussoliniano e il nazismo hitleriano con l’esaltazione delle “Rune” vichinghe e i saluti alla “Ave Caesar morituri te salutant” per giustificare una presa autoritaria del presente con la scusa di spingere tutti verso vari “Reich millenari”. In genere questo comportamento i “furboni” del potere lo assumono per utilizzare a proprio vantaggio i pezzi di storia ormai consegnati al mito, e quindi difficili da essere smontarti e/o verificati, per poi mettersi dalla parte della salvifica distruzione dello “ieri”, consegnato alla reprimenda pubblica e al rimpianto di nostalgici relegati nel ghetto, come sempre si fa con la nostalgia.

L’avvento delle donne nel giornalismo sportivo e nella frequentazione dello stadio è roba relativamente recente, è un’avvenuta “occupazione” di un meta territorio per decenni, almeno in Italia, appartenuto agl’uomini, un tempo avvezzi a lasciarle sempre da sole per andare, appunto, “a vedere la partita di pallone”. Era il 1963 quando Rita Pavone, nella nota canzone, chiedeva al suo uomo di portare anche lei allo stadio; quasi una profezia di un evolversi del costume sociale italico che oggi vede il mondo delle donne essersi sganciato dalla necessità di essere accompagnato da un uomo per andare a vedere una partita di calcio. Alla realizzazione della profezia canora, però, non è seguita ancora un processo dialettico del contesto da stadio, ovvero non c’è stata nessuna “sintesi” tra il cameratismo maschile, con i suoi stilemi e il suo linguaggio a volte triviale, e il tocco femminile impassibile nella sua leggiadria e nella visione rosa shocking a contraddistinguerlo. In parole povere ancora, all’interno e nei dintorni dello stadio, non si è realizzato il futuro. Friedrich Hegel sarebbe sconcertato davanti a questa ostinazione del calcio nel non voler chiudere il suo processo dialettico tra uomo e donna, ma forse davvero ci si trova davanti ad un processo quasi impossibile da chiudere.

Il mondo dello stadio vive i sentimenti e le pulsioni in modo esageratamente anarchico, non esiste al suo interno una “morale regolativa”, ovvero quel complesso di regole magari difficili da realizzare ma verso cui si deve tendere. Tutto procede in una logica da foresta dove è facile trovare sia lupi che agnelli in completa libertà di agire, e se si decide di frequentarlo bisogna mettere in conto incidenti vari di percorso. Si è detto, e scritto, come il disgraziato in questione abbia deciso l’atto osceno e molesto perché pervaso da un istinto di possesso e finanche di dominio risalente alla tendenza maschilista, foriera di comportamenti asimmetrici e di discriminazione difficili da estirpare dalla natura comportamentale degli italiani. Ma a mio parere nei fatti di Empoli non si è posta l’attenzione su un particolare sintomatico e non indifferente: il cuore disgraziato sapeva bene di operare il suo gesto scellerato davanti ad una telecamera. Perché esporsi? Perché non ha valutato minimamente le conseguenze del guaio nel quale stava per cacciarsi? Davvero ha pensato come quella sua azione potesse rimanere impunita, perché a dire di qualcuno si vive in una società maschilista?

“Quello che non ho è di farla franca”, canta Fabrizio De Andrè in una bella canzone, una suggestione alla quale l’improvvido tifoso avrebbe dovuto pensare. E’ possibile ipotizzare come il problema sia risieduto nella presenza di una telecamera accesa, come a quel punto possa essere scattata una delle sindromi più comuni della società contemporanea, ovverossia l’irresistibile desiderio di partecipare ad un “Reality Show”, dove appagare la voglia di apparire supera di gran lunga l’istinto di riservatezza a cui ogni buona educazione dovrebbe riferirsi nel contesto delle virtù primarie. Nel “Grande Fratello”, il reality show per eccellenza, per ammissione dei curatori delle varie edizioni del fortunato programma, sono sempre state scelte persone psicologicamente instabili e con forte propensione al narcisismo, “perché con tipi normali, gentili, calmi e controllati ci si annoierebbe a morte. A noi interessano tutti quelli che hanno qualcosa che non va”. La psicoanalisi contemporanea ha stabilito come farsi riprendere da una telecamera sia per alcuni “un modo illusorio di colmare un vuoto. Si pensa: io valgo nella misura in cui sono guardato mentre agisco e parlo”. La telecamera, in altre parole, amplifica la forma di narcisismo di cui tutti, in qualche misura, siamo pervasi ed esercitata anche di fronte ad un uditorio più ristretto di una cena tra amici o a quello più vasto di uno stadio.

Essere “strani” o improvvidi, nella società post moderna, non è da considerarsi più un limite o un momento di vergogna, ma al contrario la grande occasione di manifestarsi all’attenzione del mondo per avere un successo assicurato. Si è tutti immersi nel clima da “zoo umani”, in voga a partire dalla seconda metà dell’800, dove milioni di persone accorrevano all’esposizione di popolazioni esotiche, samoani o nubiani che fossero. “Sono un uomo, e non c’è niente di umano che mi sia estraneo”, scrive Terenzio a sottolineare la grande curiosità che suscita in noi ogni manifestazione delle azioni degli uomini, ogni loro mettersi in scena; e pochi palcoscenici sono migliori del calcio per farlo. Nel “Grande Fratello” stadio va ogni volta in onda il racconto del momento dell’anarchia più totale, della totale assenza di norme, della perdita di ogni freno inibitorio; ed è in stati come questi che escono fuori le parti più profonde del nostro “io”, quell’inconfessabile tenuto costantemente a freno dal buon senso: a volte, come nel caso del dopo Empoli Fiorentina, non proprio un bel vedere. Si è cercato di stabilire per settimane se il gesto del ristoratore Andrea Serrani sia stata violenza o molestia, io credo sia stato sicuramente un segnale preoccupante della crasi psicologica che sta andando ad aumentare tra il mondo reale e quello della nostra mente, quella chiamata da Sigmund Freud “gratificazione allucinatoria del desiderio” e da Melanie Klein il “contenuto primario dei processi mentali inconsci”, siamo, in altre parole, proiettati continuamente nelle nostre fantasie inconsce lasciando sempre meno spazio ai processi mentali necessari per farci recuperare il senso del reale e, soprattutto, del possibile consentito.

Lo stadio deve tornare ad essere un’occasione di socializzazione e un momento di fantasia preceduto da un principio di realtà, non un allucinogeno trasformato nel palcoscenico del narcisismo. Ai sostenitori di una Greta Beccaglia in cerca di pubblicità dopo aver subito l’atto osceno, sarà meglio suggerire di andarsi a studiare il concetto di “metonomia”, nella comunicazione funzione di “figura retorica qualitativa” e che condanna per sempre la ventisettenne giornalista toscana ad essere ricordata per l’increscioso episodio più che per il suo talento giornalistico. Se l’intento era quello di farsi pubblicità, non ha per niente raggiunto il bersaglio. Questa vicenda dovrebbe ammonire a spegnere ogni tanto sulle nostre vite la luce della telecamera e diventare più modesti nella gestione del nostro ego, per non finire in un “Truman Show” infinito dove la voce di Sylvia (l’amore rivelatore di Truman Burbank) potrebbe giungere troppo tardi per il nostro risveglio: “Truman, ascoltami bene, tutti quanti sanno quello che fai, fingono, credimi. Capisci quello che sto dicendo? Fingono tutti”. Fuggiamo dal nostro ego triste e da un cuore disgraziato.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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