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Superga: quando il luogo è più che fisico

foto Paolo Pavan

ToroSofia / Torna l'appuntamento con la rubrica di Elisa Fia: "Dopo l'evento tragico del 4 Maggio 1949, si è liberata del suo statuto meramente fisico per lasciar spazio a quella che è la spiritualità di un popolo, ovvero quello Granata, e non...

Elisa Fia

In questo periodo di quarantena cerchiamo di ripercorrere i luoghi del Toro con la mente. Sembrerà così di uscire fuori di casa, almeno per un istante, per fare una breve passeggiata nel nostro amato mondo granata.

4 Maggio 1949, 17:05 - Dal centro di Torino, in una giornata uggiosa, tra lo sciame di voci che si diramano e confondono nella città, tra il caos della stessa si erge, improvvisamente, chiaro e netto, un boato che ammutolisce l'incessante brusio della metropoli, lasciando spazio a ciò che, del linguaggio, è la più autentica parte: il silenzio.

La perplessità è forte, così come la paura, in fondo la guerra era viva ancora sulla pelle, impressa nella mente e non ancora del tutto ricordo.

Tuttavia l'incessante domandarsi dei cittadini trova quasi immediatamente una risposta, data dalla nube di fumo proveniente da Superga, la basilica che veglia su Torino, dove sembra che qualcosa di grave sia successo. Nell'avvicinarsi, nell'accorrere alla basilica, il chiacchiericcio torna a farsi confuso come lo era in città e le notizie iniziano a spargersi sulla via per Superga. Scendono come valanga contro chi sta, ignaramente, risalendo la ripida stradina: "c'è stato un incidente", "un aereo si è schiantato", "nessun sopravvissuto" ed infine lì, davanti quell'aereo che sembrava ormai un gioco di cartapesta infranto su un muro per lui troppo robusto, la notizia più tragica di tutte: in quell'aereo c'era il Grande Torino.

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Da sempre simbolo di arte e storia, Superga è per i torinesi un vanto architettonico non indifferente. Tuttavia tale basilica, dopo l'evento tragico del 4 Maggio 1949, si è liberata del suo statuto meramente fisico per lasciar spazio a quella che è la spiritualità di un popolo, ovvero quello Granata, e non solo.

Davanti a Superga è impossibile rimanere impassibili: è l'essere stesso che avvolge l'ente, è lo spirito Toro ad avvolgere ogni singola parte di quel luogo. Sin dall'inizio della salita che porta alla basilica, fino all'epigrafe del Grande Toro, vi è un'emozione crescente che accompagna chi, silenziosamente, decide di accogliere in sé quel trambusto che causa il ritrovarsi di fronte ad un luogo che non solo è penetrato dell'emotività dell'avventore, ma a sua volta penetra colui che lo raggiunge.

A Superga tutto è fermo fisicamente, ma in continuo movimento spirituale, sembra quasi ergersi ad allegoria degli Invincibili: un corpo freddo e fermo che rilascia un anelito vitale talmente potente da far sentire tutto il qui e l'ora di chi si trova non più davanti, ma dentro Superga, di chi, ormai, non la visita, ma la abita in quanto è presso di essa non come spettatore esterno, ma come familiare con il luogo, che coinvolge, che fa sentire quanto forte sia il rimando tra noi ed esso.

A Superga la morte non fa paura, anzi, davanti al silenzio degli Invincibili, si comprende come l'impossibilità di tutte le possibilità renda tutto più palpabile, come l'idea della morte ci apra uno specchio sulla vita: quegli uomini, quel giorno, non pensavano di morire eppure, ognuno, sino ad allora, aveva condotto serenamente la propria vita, dando il proprio massimo per risollevare il morale di coloro che erano affranti dalla guerra, dalle continue perdite e da un'incessante angoscia, così come quegli Undici lo erano.

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Il destino con loro è stato sicuramente crudele, ma forse è così che doveva andare, forse quella squadra era destinata a rimanere stabile nel tempo, ad essere lo spirituale sostrato di una storia, simbolo di speranza e forza di volontà.

Sarà per questo che, ogni qual volta, chi si sieda sugli spalti del Grande Torino durante una partita, abbia la fortuna di scorgere Superga nello spazio tra gli ultimi anelli dello stadio, sentirà sempre in sé qualcosa in più, uno spirito vincente e coinvolgente, nutrito di speranza e di consapevolezza che, quando si è del Toro, nulla spaventa, nemmeno la morte.

Studentessa di Filosofia, classe ’98, presso l’università La Sapienza di Roma. La scrittura ed il Toro sono sempre stati le mie più grandi passioni. Sono una persona determinata ed ambiziosa, che da sempre il massimo in tutto ciò che fa, specialmente se riguarda ciò che amo.

Nei miei articoli cerco sempre di mettere tutta me stessa cercando di coinvolgere chi legge, provando a fornire al lettore più spunti di riflessione possibili.

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