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Storia di un’ingiustizia

Messi, Graziani
Un nuovo episodio di "Culto", la rubrica di Toro News a cura di Francesco Bugnone

In una vita calcistica composta da troppe ingiustizie sportive, la sera del tre ottobre 1979 ci regala una delle più atroci per modalità e simbolismo. Mauro Saglietti, in un gran pezzo a riguardo, parla di quella sera come della “fine degli anni Settanta”, non tanto in senso letterale, d’altronde di lì a pochi mesi si sarebbe giunti al termine reale del decennio, quanto quasi spirituale. Quella sera finiscono gli anni Settanta del Toro, quelli del Tremendismo, dei derby vinti, dello scudetto, di un modo di intendere e vivere il granata perfettamente calato in un’epoca dura e vitale al tempo stesso. Finisce in modo crudele, nel recupero di un supplementare che trasforma un’enorme impresa in qualcosa che in molti fanno fatica a ricordare senza un groppo in gola.

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Come tre anni prima, quando ci appioppò il Borussia Mönchengladbach  per gli ottavi di Coppa dei Campioni, l’urna del primo turno di Coppa Uefa è a dir poco malevola. Ancora in Germania, stavolta contro lo Stoccarda di Hansi Müller, una delle squadre più forti d’Europa. Sì, Hansi Müller, tanto innocuo quando lo incontreremo in ambito nazionale (tre vittorie e tre pareggi in serie A  mentre indossava le le casacche di Inter e Como) quanto mortifero nelle coppe visto che sarà lui a battere quello stramaledetto calcio d’angolo a Innsbruck nel 1987. Il Toro arriva alla sfida di andata incerottato (assenza di Pulici su tutte, marcano visita anche Greco e Carrera, Zaccarelli viene recuperato in extremis da un’infiammazione al nervo sciatico) e reduce da un pareggio a reti bianche a Cagliari alla prima di campionato. L’insopportabile sicurezza teutonica si manifesta sin dall’atterraggio quando il comandante dell’aereo dà un beffardo benvenuto ai granata annunciando che gli spiace tanto, ma i padroni di casa non potranno fare altro che batterli. Noi conosciamo perfettamente l’importanza della posta in palio, Graziani parla di doppio confronto che potrebbe orientare la stagione (Dio solo sa quanto ci azzeccherà). A fianco dei nostri tifosi in trasferta, in quel Neckarstadion che fu già amaro per le vicende azzurre ai Mondiali del 1974, ci saranno parecchi emigrati italiani. Il clima è quello giusto per una battaglia di coppa.

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Il Toro si presenta in campo con la faccia migliore che ha: quella del coraggio e dell’agonismo. Radice schiera Terraneo in porta, Volpati e Vullo terzini, Zaccarelli libero, Danova stopper, Salvadori mediano sulle tracce di Müller, Graziani unica punta con dietro un centrocampo foltissimo formato dai due Sala, Pecci e Pileggi. “Ciccio” è tra i migliori in campo, ma il giocatore decisivo della serata non ha maglietta e scarpini, bensì l’orrendo aspetto che conosciamo troppo bene: la sfortuna. Si materializza quando Pecci, poco oltre la metà campo, vede Roleder fuori dai pali e prova a punirlo con un pallonetto che potrebbe entrare negli annali se non colpisse in pieno la traversa. Il portiere avversario è così frastornato che non prova nemmeno a fermare il pallone sul rimbalzo, lasciandolo rotolare fuori area dove ci sono solo maglie bianche. Si prosegue al 41’ quando Zaccarelli salva su Volkert con una grande spaccata che, però, lo costringe ad alzare bandiera bianca prima del tempo: lo rileva il giovane Mandorlini che va su Müller con Salvadori che passa a libero. Si finisce al 70’ con il gol che decide la gara. Lunga punizione da destra del solito futuro interista, palla che spiove dalla parte opposta sui piedi di Kelsch che calcia. La sfera andrebbe più vicina alla bandierina del calcio d’angolo che alla porta se solo non incocciasse Danova finendo in rete. La reazione disperata di Terraneo che si mette rabbiosamente le mani nei capelli è una specie di premonizione del futuro. Il Dio del calcio, ancora una volta, non è della nostra parte e infatti Vullo si mangia il pareggio da pochi passi. In quel momento il cuore granata è ancora caldo e pulsante, questo Toro è piaciuto molto, questo Toro può ribaltarla al ritorno. Non potrà mica andare sempre male.

Questa frase potrebbe essere subito smentita dal fatto che anche Danova si ferma per infortunio, ma l’emorragia di cattive notizie sembra fermarsi col rientro di Pulici. Il Toro si prepara al ritorno con due successi in campionato e la porta inviolata. Il primo è in casa contro l’Ascoli dove decide un bellissimo e preciso colpo di testa di Graziani su pennellata di Claudio Sala su punizione. Il risultato non è più pingue solo per le parate di Felice Pulici (una, strepitosa, sul colpo di testa del suo ciclonico omonimo granata) e per una traversa colpita da un colpo di testa di Vullo, mentre una bella parata di Terraneo su Scorsa nel finale evita il peggio.

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Ad Avellino arriva un successo per 2-0 nonostante gli infortuni continuino a fioccare: Volpati dà forfait prima della gara, Pecci è costretto a lasciare il campo al 41’ al giovane Paganelli. Linea verde, cuore Toro e gemelli del gol che tornano a segnare insieme. Apre Graziani con un colpo di testa parabolico su traversone di Vullo, chiude Pupi di rapina su centro rasoterra di Ciccio mancato da Piotti. In mezzo un Avellino generoso e poco più, anche se a dar retta al servizio dell’epoca di Domenica Sprint, palesemente opera di un tifoso irpino sotto mentite spoglie, sembra che i padroni di casa abbiano giocato come l’Olanda del 1974. Un commento così di parte e falso da suscitare le proteste dei tifosi e della stessa società nei confronti della Rai. Negli spogliatoi più che ai due punti si pensa alla squadra rattoppata, dove i giovani stanno dando una grande mano, preludio a quello che succederà nel biennio successivo, e, ovviamente, allo Stoccarda, distante solamente tre giorni.

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Pecci non ce la fa, ma rientra Danova e così Radice schiera Terraneo, Mandorlini, Vullo, Pat Sala, Danova, Salvadori, Claudio Sala, Pileggi, Graziani, Greco e Pulici. Il Comunale, nelle serate di coppa, è stupendo in un modo che fa quasi sentire in colpa per avergli regalato meno notti europee di quanto meritasse. Se lo guardi dal basso gli spalti sembrano non finire mai, volando verso l’alto a toccare un meraviglioso cielo notturno. Anche il colore granata, illuminato dai riflettori, sembra più intenso, più sanguigno. Della curva Maratona non è neanche il caso di parlare, pare fatta apposta per vivere notti simili. Il Toro è chiamato all’impresa, sa che superare i tedeschi è qualcosa che può andare ancora più in là del mero passaggio del turno. Allora non c’è tempo per rimpiangere gli assenti: veterani e giovani possono solo giocare una grande partita quando il sovietico Azim Zare fischierà il calcio d’inizio.

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I dettami di Radice consigliano al Toro di attaccare con calma, mentre Buchmann chiede allo Stoccarda di non rinunciare al gioco, di occupare il campo e di non perdere la testa. Le intenzioni sono un’ottima cosa, ma reggono pochi minuti: la voglia di farcela granata e il desiderio di mantenere il vantaggio tedesco portano ben presto a una gara molto fisica di duelli, botte e mezze risse dove nessuno si tira indietro. Graziani è il trascinatore: sua la prima conclusione pericolosa al volo di sinistro, dopo una punizione di Pulici rimpallata, con Roleder che mette in angolo. Pupi, da buon gemello, fa eco al compagno di reparto con un colpo di testa fuori di un soffio. Graziani ha l’argento vivo addosso, reclama invano un rigore, si crea dal nulla, in palleggio, una buona opportunità da fuori, ma la palla non entra.

Chiuso il primo tempo a reti inviolate, nella ripresa il Toro si riversa all’attacco e il pressing tedesco che aveva sporcato parecchie azioni dei nostri nei primi 45’ si fa inefficace col passare dei minuti. Al 68’, finalmente, la sbocchiamo. Grande merito va a Vullo che, lanciato in profondità, vola a sinistra incurante del fatto che un avversario sia in anticipo e stia coprendo la sfera per ottenere una rimessa o il rinvio dal fondo. Per Totò quell’avversario, semplicemente, non esiste, quindi corsa che non si ferma, duello fisico senza timore, pallone sradicato con forza e ingresso in area nei pressi del fondo. Testa alta per vedere chi c’è al centro e, al limite dell’area piccola, sbuca Claudio Sala, uno che in genere i gol come quelli li fa fare, ma stavolta rovescia lo spartito e segna lui. Colpo di testa senza nemmeno saltare e pallone nel sacco con lo stadio che viene giù. Pochi minuti prima il capitano sembrava dover pagare anch’egli l’ennesimo debito agli infortuni dopo essere rimasto ko qualche minuto per uno scontro di gioco, adesso corre festante con le energie decuplicate dall’aver raddrizzato la situazione. Il primo a fermarlo è il suo omonimo Pat che lo abbraccia e lo solleva. Ci siamo guadagnati almeno i supplementari, anche se continuiamo a premere senza però trovare il gol della qualificazione.

Nel primo tempo supplementare Graziani è pura onnipotenza: salva sulla linea dopo una mischia furibonda in area granata e un attimo dopo fa paura ai tedeschi calciando alto di poco. Poi, dopo un’occasione fallita da Pulici, al 104’ il raddoppio. Claudio Sala rientra sul sinistro da destra e crossa, Pulici stacca e imitato da due difensori, ma la palla passa e finisce a Graziani solissimo sul secondo palo. Ciccio controlla e lascia partire un bolide che colpisce il montante più vicino e gonfia la rete. La Maratona esplode, il numero nove, dopo un secondo per realizzare cos’ha fatto, inizia a correre sotto la curva, raggiunto dai compagni e abbracciato da gente in borghese. La qualificazione si tinge di granata, adesso bisogna tenere.

La grande parata di Terraneo sul neo-entrato Schmider sembra il suggello della vittoria, il centoventesimo passa, ma l’arbitro non fischia. Forse sta recuperando il tempo perso quando Graziani, colpito proditoriamente a inizio frazione, è rimasto a terra qualche secondo prima di riprendere il suo posto, dolorante e inscalfibile al tempo stesso. I tedeschi si sentono incoraggiati a buttare dentro l’ultimo pallone, quello della disperazione. Terraneo decide di uscire e colpisce di pugno attorniato da un nugolo di uomini. In un mondo ideale ci sarebbe un fischio. Triplice per suggellare il successo o singolo per punire una carica al portiere, concedendo allo stadio quel boato di quando conquisti un calcio di punizione che ti permette di trascorrere in pace gli ultimi secondi prima del trionfo. Invece no, Ohlicher colpisce al volo dal limite e il pallone deviato, secondo qualcuno con un braccio da un tedesco, termina nella porta ormai sguarnita. Non oso pensare cosa si sia visto dalla Maratona di quell’azione: la speranza, l’ansia, il timore e poi, mentre la sfera finiva inesorabilmente in rete, il vuoto dentro.

Un gol subito così dopo una partita simile è un insulto, non si accetta, è peggio di perdere 4-0, perché ti fa capire come non ci sia redenzione, come non basti nemmeno superare i propri limiti, dare tutto incuranti delle assenze e della sorte avversa per farcela. Anche il sempre austero Almanacco Panini, che se segnavi a tempo scaduto annotava sempre 90’, farà un’eccezione per quella gara scrivendo 121 vicino alla rete subita, quasi per far capire quanto fosse impossibile e ingestibile un simile fatto. Chi c’era racconta di tifosi granata anziani in lacrime, come se tutti avessimo capito che, dopo uno scudetto perso 51 punti a 50, dopo infortuni nei momenti cardine delle stagioni successive, avevamo sbattuto contro un altro palo messo lì dal destino in modo atroce. Io stesso, mentre ho scritto, mentre ho rivisto il video che so a memoria, spero sempre che quel pallone non entri, che non segnino, in una sorta di delirio irrazionale davanti a qualcosa di ingiusto.

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Esplode la rabbia con una mini-invasione e scontri fra le forze dell’ordine che sparano lacrimogeni che nulla c’entrano con gli occhi lucidi dei granata negli spogliatoi. Graziani è tra i primi a denunciare un tocco di mano nell’episodio decisivo e poi chiude con una frase che è una coltellata: “La vita è piena di sorprese, ma chissà perché quelle negative toccano sempre a noi”. L’amarezza è totale, si inerpica come l’edera nelle anime dei nostri e quello che avrebbe potuto essere lo slancio per proporsi con convinzione nella corsa scudetto diventa un macigno che inizia a travolgere tutto o quasi. Quella squadra non lo meritava. D’altronde questa è la storia di un’ingiustizia.

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